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I voucher erogati nel 2015 sono stati 88 milioni e nei primi mesi del 2016 il numero è salito a 109 milioni. Solo adesso il Governo si accorge che il mercato del lavoro è gravemente malato e che i voucher su cui ha puntato Renzi sono diventati lo strumento principe della precarietà. Il timore che i cittadini italiani affondino il Jobs Act al referendum promosso dalla Cgil diventa così la vera preoccupazione di chi governa, anche perché di mezzo c’è la credibilità della maggioranza stessa alle prossime elezioni.

Qualcuno si sarà stancato di sentirlo dire, ma insieme ai colleghi di Commissione Lavoro ho ripetuto fino allo sfinimento che la liberalizzazione dei voucher avrebbe creato gravi danni. Già costrette a fare i conti con una concorrenza sleale diffusa e con un sistema fiscale oneroso, le aziende non avrebbero tardato a ricorrere ai voucher – che prevedono contributi Inail e Inps bassissimi – per assicurarsi rapporti di lavoro senza vincoli e oneri dei contratti veri e propri.

Dati e fatti ci hanno dato ragione: distorta dalle rilevazioni Istat (viene infatti considerato “occupato” anche chi, nella settimana della rilevazione, riceve un solo voucher), la “riduzione della disoccupazione giovanile” si è dimostrata una bufala colossale, mentre i licenziamenti per giusta causa sono aumentati grazie alla scriteriata abolizione dell’articolo 18. Finché c’erano sul piatto miliardi di decontribuzione per le “finte assunzioni” le imprese hanno sottoscritto i nuovi contratti a tempo indeterminato. Finita le decontribuzione… “ciaone”! Altro che “tutele crescenti”, vera e propria “truffa semantica”.

Un modo per impedire alle aziende di fare un uso improprio dei voucher sarebbe stato quello di utilizzare gli 80 euro dati a chi già aveva un lavoro e tutti gli altri miliardi sprecati per riformare l’intero sistema attraverso il reddito di cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza è una riforma del lavoro integrale. Non si tratta solo di dare due soldi a chi non ha un lavoro, ma si aumenterebbero le basse pensioni minime, verrebbe avviata una riforma dei centri per l’impiego, si farebbero banche dati integrate per creare anagrafiche dei lavoratori e per mettere in rete chi cerca un lavoro. Inoltre consentirebbe a chi resta senza lavoro di formarsi. Esiste in tutta Europa e dovremmo chiederci perché l’Italia questo strumento non ce l’ha. O meglio: il M5S lo ha sempre saputo. Qualcuno se lo chiede solo adesso o… finge di chiederselo.

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Ascolta l’intervista andata in onda il 28 dicembre 2016 a Radio Cusano Campus.

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