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Lo scorso 19 gennaio il Movimento Cinque Stelle depositò una risoluzione per chiedere di poter discutere di salario minimo. A distanza di oltre cinque mesi, la discussione inizierà domani, giovedì 30 giugno, in Commissione. Finalmente!

Cosa chiede esattamente la risoluzione che vede il sottoscritto come primo firmatario? E’ molto semplice.

In Italia il numero dei lavoratori che vivono sotto la soglia di povertà pur percependo un reddito è in aumento. Questa fetta consistente di persone è definita paradossalmente “Working poor class”, la classe dei “lavoratori poveri”. A contribuire al fenomeno è il fatto che, a livello europeo, l’Italia è nelle ultime posizioni della classifica media delle retribuzioni, specialmente sui salari d’ingresso.

Con la proposta contenuta nella risoluzione chiediamo dunque al Governo di stabilire per legge che la retribuzione oraria lorda non possa essere inferiore a 9 euro. Si tratterebbe di un valore ben al di sopra dei minimi salariali stabiliti dalla contrattazione tra le parti sociali (contrattazione dalla quale è escluso il 16% dei lavoratori).

Occorre aggiungere che il salario minimo stabilito per legge è una realtà in mezza Europa: in Germania è stabilito in 8,50 euro, in Francia 9,61 euro, in Belgio 8,94 euro e in Gran Bretagna 6,70 pounds. La nostra risoluzione si propone insomma l’obiettivo di restituire dignità al lavoro salariato, ponendo fine alla schiavitù moderna nella quale ci si ritrova a lavorare a fronte di retribuzioni da fame. I casi sono innumerevoli in tutto lo Stivale: si va dai lavoratori nel campo della vigilanza e della sicurezza (l’anno scorso a Sanremo si pagava 4,99 euro lordi all’ora) ai servizi bibliotecari (3,20 euro all’ora alla biblioteca universitaria di Bologna), dalla pulizia delle strade (5,60 euro a Voghera) alla famigerata grande distribuzione, dove anche gli italiani si adattano a condizioni da sfruttamento (6,38 euro lordi all’ora per uno scaffalista). La realtà è che non c’è settore che non sia interessato da questo gioco al ribasso: sanità, agricoltura, servizi.

C’è di più. Negli anni passati a penalizzare le retribuzioni dei lavoratori è intervenuta l’abolizione della cosiddetta “scala mobile”, meccanismo che prevedeva l’indicizzazione automatica dei salari in funzione degli aumenti dei prezzi, al fine di contrastare la diminuzione del potere di acquisto. Nella stessa risoluzione sosteniamo pertanto la necessità di reintrodurre uno strumento capace di tenere conto del differenziale tra l’inflazione programmata e quella reale, in modo tale da recuperare il potere d’acquisto perso attraverso integrazioni alle retribuzioni del mese di gennaio di ogni anno.

Leggi il testo integrale della risoluzione avente come primo firmatario Claudio Cominardi (M5S).

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