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Martedì 9 maggio la Camera dei Deputati ha approvato con alcune modifiche la mia mozione sull’intelligenza artificiale e sulla robotica. Il Governo dovrà analizzare le profonde trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e delle professioni, e ragionare sull’introduzione di nuove forme contrattuali adeguate alle caratteristiche richieste dal lavoro del XXI secolo. Dovrà intervenire nel campo dell’educazione e della formazione, ma anche muoversi a livello europeo per proteggere tutti i lavoratori interessati dal rischio di disoccupazione tecnologica.

E’ un primo importante passo per il nostro Paese per realizzare una vera politica del lavoro moderna, con orari di lavoro ridotti, un nuovo welfare e l’introduzione dell’ormai urgente reddito di cittadinanza.

A seguire, il testo del mio discorso, il video dell’intervento in Aula, il testo della mozione modificata durante la seduta e l’elenco degli impegni originali della mia mozione.

Ci troviamo di fronte a una rivoluzione di carattere tecnologico senza pari.

È vero che la scorsa rivoluzione industriale – la più importante – ha sostituito i cavalli, ma la differenza è che d’ora in poi ad essere sostituite saranno le persone, perché l’intelligenza artificiale ha la caratteristica di svolgere funzioni che sono prettamente umane.

Un’intelligenza artificiale è in grado di comunicare, di apprendere o, meglio ancora, di auto-apprendere; è addirittura in grado di manipolare oggetti. Alla Federico II di Napoli, per esempio, hanno sperimentato un robot, Robotic Dynamic Manipulation – RoDyMan, così viene definito – che è un robot addirittura in grado di fare delle pizze, quindi di manipolare degli oggetti con una struttura modificabile, che si modifica nel momento, dunque in ogni momento l’intelligenza artificiale deve avere la capacità di adattarsi all’imprevisto.

Ma parliamo anche di software molto sofisticati, parliamo di disintermediazione; per esempio noi tutti conosciamo benissimo l’home banking online, le assicurazioni online, quindi tutti gli sportelli fisici che vengono superati grazie a dei software che sostanzialmente hanno una funzione di interfaccia con l’utenza; si parla di milioni e milioni di posti di lavoro in meno.

Io mi sto impegnando su questi temi da inizio legislatura, quando ancora nessuno riteneva importante un’indagine rispetto all’impatto che le nuove tecnologie potranno avere – e hanno già oggi – sull’occupazione. L’ho fatto tramite una risoluzione sulla cosiddetta “disoccupazione tecnologica” perché è evidente a tutti quello che sta avvenendo: ce l’abbiamo veramente sotto gli occhi.

Non avevamo bisogno delle relazioni del World Economic Forum che dicono che da qui al 2020 – quindi a stretto giro – verranno meno 5 milioni di posti di lavoro nelle quindici più grandi economie del mondo. Non avevamo nemmeno la necessità dello studio della McKinsey che ci dice che, già oggi, il 45 per cento delle attività lavorative è automatizzabile. Non avevamo bisogno nemmeno dello studio dell’Oxford Martin School University che ci dice che nei prossimi dieci o vent’anni negli Stati Uniti potrà essere sostituito il 47 per cento delle professioni, in Europa il 50 percento. Non avevamo nemmeno bisogno del capo economista della Banca d’Inghilterra Andy Haldane, che dice che da qui ai prossimi anni negli Stati Uniti rischiamo che verranno meno addirittura 80 milioni di posti di lavoro.

Quello che voglio dire è che ci troviamo di fronte a una grandiosa opportunità. Perché? Perché oggi grazie alla produttività che questi mezzi tecnologici ci danno, si avrebbe la possibilità di produrre più beni e più servizi, con più efficienza, con meno ore lavoro e anche con più qualità, generando quindi più benessere. Sarebbe un fatto estremamente positivo qualora si realizzassero politiche redistributive del sapere, del lavoro e della ricchezza scongiurando un ritorno del luddismo.

Tra le prime sette società, misurate per valore di mercato, ne abbiamo cinque che fanno parte del settore dell’Information Technology Communication; abbiamo l’Alphabet (Google), abbiamo la Apple, abbiamo Microsoft, abbiamo Facebook, abbiamo Amazon, con la caratteristica sostanziale che queste aziende, a differenza delle aziende che sono concentrate sulla produzione di beni materiali, generano, a parità di fatturato, a parità di giro d’affari, un decimo dei posti di lavoro.

Il problema è sempre di carattere redistributivo e peggiora di anno in anno. Non me lo invento io. Ce lo dice il rapporto Oxfam sulle disuguaglianze sociali: nel 2010 erano 388 le persone più ricche al mondo a detenere l’equivalente della ricchezza di metà della popolazione mondiale, ovvero di 3 miliardi e mezzo di persone, se prendiamo in esame quella più povera. Poi sono diventate 85, poi 62 due anni fa; quest’anno, rivela l’Oxfam, sono solamente otto le persone che detengono una ricchezza equivalente a quella di 3,6 miliardi di persone.

Quindi vi è un problema di carattere anche economico in questo senso, perché se aumentano le disuguaglianze viene meno la classe media, ed è la classe media a sostenere il consumo. Negli Stati Uniti – in Italia la situazione è pressappoco uguale – a determinare la spesa al consumo è per il 70 percento la classe media, la quale purtroppo è sempre più in difficoltà. In Italia le 10 famiglie più ricche detengono l’equivalente della ricchezza di 6 milioni di italiani. Non è un caso se abbiamo 17 milioni di persone a rischio povertà, 10 milioni in povertà relativa, tra cui un milione e mezzo di bambini.

Il tema dell’intelligenza artificiale, dell’automazione e della robotica è fondamentale perché deve essere visto con una visione di insieme: economia, organizzazione del lavoro, etica, welfare e così via.

Come dicevo precedentemente, in Commissione lavoro, con una risoluzione che ha avuto in buona parte il favore del Governo, ho voluto porre l’accento su questi aspetti e mi felicito del fatto che se ne discuta anche in Aula. Perché dire chequeste tecnologie portano nuovi posti di lavoro è vero, ma ne cancellano molti di più e creano una serie di effetti nel mondo del lavoro che vanno assolutamente affrontati.

Un altro tema che poniamo sul tavolo è quello della rimodulazione dell’orario di lavoro. In questo caso ho visto che il Governo ha dato parere favorevole all’impegno della mozione in oggetto; che non vuol dire lavorare poco, ma vuol dire lavorare meglio.

Infatti vorrei capire per quale ragione in Germania, per esempio, i lavoratori lavorano 350 ore in meno all’anno rispetto ai lavoratori italiani; quindi, noi lavoriamo oltre un’ora a testa in più al giorno rispetto al lavoratore tedesco, ma nel contempo abbiamo un reddito pro capite di 17.000 dollari inferiore. Quindi, c’è anche un tema di questo tipo, e si può ragionare nei termini non solo di una riduzione dell’orario di lavoro, ma di una rimodulazione, perché con il cambiamento e anche la destrutturazione del mondo del lavoro vengono meno i tempi di lavoro.

Il discorso si lega ai temi dello smart working, del lavoro in remoto e a molti altri ancora.

Dobbiamo inoltre cogliere le opportunità anche attraverso i giovani. Il 40 per cento dei nostri giovani è disoccupato, e se parliamo della disoccupazione reale probabilmente il fenomeno risulta ancora più evidente. Perché sono fondamentali i giovani? Perché le nuove tecnologie sono e saranno sempre più alla portata dei cosiddetti lavoratori digitali, ma i lavoratori digitali purtroppo sono a casa, magari con dei titoli di studio in tasca; i cosiddetti lavoratori analogici, invece, sono al posto di comando delle grosse aziende, nella Pubblica amministrazione e quant’altro. I lavoratori digitali hanno delle competenze, delle attitudini che i lavoratori analogici non hanno. I lavoratori digitali sono bravissimi nel problem solving, sono multitasking, sono avvezzi alle nuove tecnologie, sono più bravi nel lavoro in team, e non vogliamo sfruttare al meglio le loro competenze? Magari anche con una staffetta generazionale, facendoli entrare seriamente nel modo del lavoro, quindi prendendo, da una parte, quella che è l’esperienza di chi lavora in un determinato settore da anni, e dall’altra parte le attitudini dei nostri giovani.

Questo lo si può fare anche con investimenti nella ricerca. Abbiamo delle grandissime menti, non è un caso se nel mondo il maggior numero di pubblicazioni scientifiche in rapporto alla popolazione, sono di ricercatori italiani. Col solo difetto che poi noi i nostri ricercatori li esportiamo. Benissimo i cervelli in fuga, ma a patto che rientrino in Italia, e questo non avviene.

Abbiamo un deficit anche in questo senso.

Occorre puntare sulla produttività, però come? Sfruttando sì queste tecnologie, facendo sì più investimenti, però riuscendo a coglierne soprattutto i vantaggi per il benessere collettivo. E ciò lo si può fare collegando anche, in qualche modo, il settore dell’università con il settore dell’impresa. Più ricerca pubblica: questo è assolutamente fondamentale per il nostro Paese.

Occorre ragionare anche in termini di welfare. Il welfare è fondamentale, ma – e qui chiudo – siccome Renzi è andato in Silicon Valley a capire dal migliore – da Elon Musk, numero uno di “Tesla” – come bisognava approcciarsi a questi temi, sapete cosa dice Elon Musk? Che bisogna incominciare a pensare in termini di reddito di base incondizionato.

Il primo movimento politico che ha cominciato a parlare di reddito di cittadinanza, come punto di partenza, è stato il MoVimento 5 Stelle.

Abbiamo fatto anche uno studio che è Lavoro 2025, su come evolverà il lavoro nel prossimo decennio. Uno studio unico nel suo genere che ha coinvolto i maggiori esperti di varie discipline teoriche. Prevedere per programmare, questo è stato l’approccio.

Grazie al quale ora abbiamo delle proposte politiche di alto valore.

Non dovete fare altro che inseguirci, unirvi a questi propositi per il bene della collettività.

Presentazione della mozione sulla robotica e sull’intelligenza artificiale.

Download (PDF, 62KB)

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