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Nel 2024 i sistemi dotati di intelligenza artificiale supereranno l’uomo nella traduzione delle lingue. Nel 2026 riusciranno a scrivere saggi scolastici. Nel 2027 guideranno i camion. Nel 2031 saranno migliori dei commessi impiegati in attività commerciali. Nel 2049 riusciranno a scrivere un best seller. Li ritroveremo come i migliori chirurghi nel 2053.

Tra 120 anni avranno completamente sostituito l’uomo in tutti i lavori.

A rendere pubbliche queste previsioni è stato, alla fine di maggio, l’Istituto per il Futuro dell’Umanità dell’Università di Oxford (Future of Humanity Institute), dove un team di ricercatori ha analizzato e vagliato le stime di 352 esperti del settore.

Secondo lo studio ci sarebbe un 50% di probabilità che nel giro di 45 anni si giunga al “punto di non ritorno”, cioè al momento in cui le macchine avranno acquisito intelligenza elevata: i ricercatori la definiscono “High Level Machine Intelligence”, o HLMI, ovvero la facoltà di una macchina di svolgere autonomamente funzioni umane meglio di quanto sappia fare l’uomo. Il 10% ritiene persino che questa soglia potrebbe essere superata tra 9 anni!

Altro dato interessante, secondo i ricercatori asiatici questo momento si potrà presentare nel giro di 30 anni, mentre secondo i ricercatori americani la svolta arriverà tra oltre settant’anni.

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Le stime sull’automazione rielaborate in un grafico da Nòva, inserto de Il Sole 24 Ore (11 giugno 2017)

L’effetto nelle nostre vite di questa incredibile trasformazione è uno dei quesiti posti dai ricercatori, che già nella parte iniziale del paper sostengono come la “self driving technology” potrebbe “sostituire milioni di impieghi nel settore della guida già nel prossimo decennio”, e che la nostra vita cambierà anche mediante la trasformazione di settori come “i trasporti, la sanità, la scienza, la finanza e il sistema militare”.

Risoluzione-CominardiIl 45% degli studiosi vede delle implicazioni positive e buone opportunità nella grande rivoluzione in corso, ma va considerato che il 47% di loro ritiene che le ricerche per minimizzare gli effetti sociali debbano diventare prioritarie (solo l’11% crede che si debba evitare di interessarsi a questo).

Di fronte a questi dati bisogna ribadire che non non bisogna più perdere un solo giorno. La rivoluzione in corso accresce il rischio di una potente “disoccupazione tecnologica” nei confronti della quale svariati enti e organismi internazionali hanno già lanciato l’allarme.

Il sistema educativo, formativo e di welfare vanno radicalmente rivisti se vogliamo tradurre i rischi in opportunità. Per governare la nuova realtà ormai emergente serve insomma una nuova visione capace di produrre una società nuova e nuove istituzioni. Il tutto senza perdere di vista il vero fine: fare in modo che tutti lavorino il giusto, per passione e opportunità, piuttosto che per costrizione.