Mi sono sempre chiesto com’è stato possibile prendere per il culo i bresciani per oltre vent’anni. Perché qui in città accadono cose strane, da parecchio tempo. Tipo che i cittadini pagano due volte la stessa cosa. Pagano la materia prima a un’azienda (i rifiuti, sotto forma di raccolta), la quale poi li brucia trasformandoli in energia e calore, che poi rivende (e che i cittadini pagano ancora). Ah, non è propriamente vero: paghiamo anche la trasformazione, o parte di questa. Solo fra il 1998 e il 2007, infatti, l’azienda in questione (l’ex municipalizzata ASM, prima strappata ai cittadini con la quotazione in borsa, poi fusa con AEM di Milano e divenuta oggi la multiutility A2A) ha percepito qualcosa come 430 milioni di euro di finanziamento pubblico dallo Stato. Come? Con una formulina inventata ad hoc per il nostro Paese: se produci energia da fonti “assimilate” alle rinnovabili, puoi prendere soldi pubblici. Uno pensa: cosa saranno mai queste fonti “assimilate”? Forse altre fonti di energia pulita? No: sono i rifiuti. Quindi producendo energia dai rifiuti, la nostra bella azienda ha potuto accaparrarsi negli anni qualcosa come mezzo miliardo di euro e oltre. Dunque mi correggo: paghiamo la stessa cosa tre volte.
Oggi arrivano perfino a dirci che dovremmo stare zitti perché “ci staccano i dividendi” e le tariffe a Brescia sono “fra le più basse”. E ci mancherebbe pure che fossero alte!
Ci avevano detto che l’inceneritore a Brescia non avrebbe bruciato più di 266mila tonnellate di rifiuti all’anno. È arrivato a bruciarne 800.000 (cioè più di quanti ne produce l’intera provincia di Brescia: 643.000 tonnellate nel 2016).
Ci avevano detto che l’obiettivo era la riduzione dei rifiuti prodotti dai cittadini. In 18 anni la produzione pro capite quotidiana è passata da 1,72 kg (1998) a 1,85 kg (2016). Diciamo che l’inceneritore non mai ha avuto problemi di “fame”: i rifiuti da mangiare c’erano sempre, glieli procuravamo noi (sempre gratis, si capisce).
Ci avevano detto che “la meta è la metà”, cioè il 50% di raccolta differenziata (questo nei primi anni 2000, ma senza specificare entro quando, purtroppo). Mentre in tutta Italia comunità da Nord a Sud passavano in pochi mesi dal 20 al 70% semplicemente adottando il metodo porta a porta (che piaccia o meno, questi sono fatti), Brescia passava dal 26% al 44% in 18 anni (1998-2016) con i cassonetti, prima di decidersi ad adottare un finto porta a porta misto a cassonetti con calotta (e udite, udite: siamo “già” al 62%, un trionfo!).
Ci avevano detto che l’obiettivo era la “riduzione dei consumi” e il “risparmio energetico”. Oggi sotto la città scorre una rete chilometrica di tubi che portano energia e calore nelle case dei cittadini disperdendone il 15% lungo il percorso. Pensate: a Mompiano le case (che già non brillano per efficienza energetica) si riscaldano con una caldaia a 10 km di distanza e tubi colabrodo. È il “teleriscaldamento”, bellezza.
Oggi ci dicono: “Eh, ma se spegniamo l’inceneritore, come facciamo a produrre l’energia che ci serve?”. Hai capito: prima bruciano una volta i rifiuti che potremmo riciclare 1000 volte, vincolano i cittadini ad un’unica caldaia, gli fan pagare due, tre volte la stessa cosa, poi quando gli metti i dati della catastrofe davanti chiedono a te come uscirne. Complimenti. Dov’eravate vent’anni fa? E dieci anni fa? E cinque anni fa? Com’è che in vent’anni a nessuna Amministrazione pubblica è venuto in mente di pensare a una soluzione più sostenibile e alternativa a questa dittatura energetica?
Oggi qualche buontempone arriva perfino a sostenere che l’incenerimento è “alternativo alla discarica”. Al poveraccio evidentemente non hanno spiegato che le ceneri tossiche prodotte dall’inceneritore, quelle che rimangono a terra dopo aver bruciato tutto (nel 2005 erano un quinto del materiale in ingresso), devono andare per forza in una discarica. Perciò chi accetta di farsi costruire un inceneritore, accetta anche un’altra discarica.
Oggi le fonti “assimilate” sono già un ricordo: il marketing aziendale arriva a dirci che l’energia è prodotta da fonti direttamente “rinnovabili”. Pensate: i rifiuti come il sole, l’acqua, il vento, il calore della terra. Non c’è più differenza. Peccato non ci sia nemmeno un sindaco che alzi il ditino per far notare la pubblicità ingannevole di un’azienda in cui i cittadini mettono ancora i loro soldi.
Ecco, mi sono sempre chiesto come sia stato possibile prendere per il culo i bresciani per oltre vent’anni. Poi oggi ho letto la prima pagina di un giornale locale, e i suoi ampi servizi all’interno: da applausi il titolo in cui si spaccia per vero un “dietrofront” sull’inceneritore del ministro all’ambiente Sergio Costa, altrettanto da applausi l’articolo in cui ci si arriva a chiedere, dopo vent’anni: “Dove prendiamo l’energia se spegniamo l’inceneritore?” (un classico: inventarne di nuove no?). Poi ho ricordato i titoli e gli articoli scritti dallo stesso giornale nella giornata di ieri. E quelli del giorno prima. Poi quelli di un mese fa, dell’estate scorsa. Di un anno fa, di due anni fa. Di cinque. Di dieci e di venti. Poi ho ricordato i servizi di tv, radio e altri giornali negli stessi anni.
Non è sufficiente il marketing di un’azienda per ingannare centinaia di migliaia di cittadini (anzi, milioni, visto che la fama – e la fame – dell’inceneritore “migliore al mondo” ha superato da tempo i confini bresciani). Serve una sponda più efficace, più “credibile”, che riprenda il marketing aziendale e lo trasformi in “fatti”, in “numeri”, perfino in “verità” da far digerire ai cittadini. E chi meglio di un’Amministrazione pubblica che cambia volto ogni cinque anni tenendo le mani sempre nelle stesse tasche, avendo perso la sua municipalizzata ed essendo rimasta azionista senza voce in un mare di squali? O di media che altro non sono che megafoni per comunicati stampa aziendali?
Benvenuti nel “modello Brescia”.