Lei è Tiziana Ciprini, una bravissima collega con la quale ho condiviso otto anni di battaglie in Commissione Lavoro. Oggi, grazie al suo impegno, il Senato ha dato il via libera definitivo al Disegno di Legge sulla parità salariale tra uomo e donna.
Nessuno ve lo dirà, ma è lei la persona che ha portato questo tema in Parlamento con un progetto di legge concreto e l’ha seguito passo passo. Ha lavorato con esperti e associazioni seguendo le varie audizioni nella Commissione di competenza, fino ad arrivare a una proposta condivisa tra i vari gruppi parlamentari. Difendendo e custodendo i principi ispiratori della sua iniziativa che è stata seguita un po’ da tutti, vuoi per condivisione d’intenti, vuoi per opportunità politica.
Tra le novità introdotte dalla legge ci sono nuovi strumenti per la lotta alla discriminazione di genere sul posto di lavoro, come l’individuazione di ulteriori forme di discriminazione indirette e l’obbligo per le aziende di redigere rapporti sul divario di genere tra i propri dipendenti. Viene inoltre introdotta la “certificazione della parità di genere”, che comporterà sgravi fiscali per le aziende meritevoli, e il principio di equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche.
Non si tratta di un tema marginale, sia chiaro. Basti osservare i numeri.
Secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019 la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne in Italia si attesta al 4,7% (terzi nell’Ue dopo Romania e Lussemburgo), ben al di sotto del 14,1% della media europea.
La percentuale però cambia di molto se si considera il divario retributivo di genere complessivo, cioè lo scarto tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini, che tiene conto di diversi elementi, tra cui il fatto che gli uomini lavorano in media più ore all’anno rispetto alle donne. In questo caso la differenza (dati 2018) sale al 43 per cento, terzo divario più alto dopo Paesi Bassi e Austria.
Per quanto riguarda l’occupazione in generale, invece, l’Italia è tra i Paesi Ue con il più alto divario occupazionale di genere (ossia la differenza tra gli occupati uomini e donne), pari al 19,6 per cento, contro una media europea pari a meno del 12 per cento.
Anche se non ti sarà riconosciuto il giusto merito – come invece avviene per altri – so già che per te quel che conta è il risultato e anche per questo ti ringrazio. Sei un esempio.