In questi giorni si sta concludendo la discussione dei decreti delegati della Legge delega riguardanti il contratto a tutele crescenti e la Naspi.
Dal resoconto di commissione lavoro (Camera dei deputati):
Cominardi, fa notare, anzitutto, che il provvedimento è viziato da un eccesso di delega, poiché, all’articolo 1, comma 2, estende l’applicazione della nuova disciplina del contratto a tutele crescenti anche ai contratti in essere – nel caso in cui, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo, si superi la soglia dei 15 dipendenti – nonostante l’articolo 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 faccia riferimento esclusivamente alla introduzione di una disciplina solo per le nuove assunzioni. Ritenuta, peraltro, estranea ai principi di delega la previsione sui licenziamenti collettivi di cui all’articolo 10, fa notare che il provvedimento, se da un lato, intende promuovere nuove assunzioni, dall’altro estende la possibilità di licenziare, vanificando ogni finalità di crescita occupazionale. Esprime, quindi, forti perplessità sull’inversione dell’onere della prova in materia di licenziamento disciplinare illegittimo, nonché sull’eliminazione del principio di proporzionalità tra il fatto commesso dal lavoratore e la sanzione irrogata, paventando il pericolo che venga irrimediabilmente compromessa la possibilità di una autonoma valutazione in sede giurisdizionale. Giudica grave che il lavoratore, che costituisce la parte debole del rapporto, sia esposto al pericolo di essere licenziato per fatti di lieve entità, senza alcuna possibilità di ottenere la reintegrazione, stigmatizzando una impostazione di fondo del provvedimento che tende a monetizzare i diritti dei lavoratori in cambio di una maggiore flessibilità a favore delle imprese, come previsto, ad esempio, nel caso della procedura di conciliazione contemplata dall’articolo 6 del testo. Ritiene che, come rilevato anche dall’associazione dei giuristi democratici, il provvedimento rechi in sé una sorta di «inganno semantico», in quanto si evocano tutele crescenti inesistenti, proponendosi, al contrario, un complessivo abbassamento delle tutele ai danni dei lavoratori, che – secondo quanto indicato anche dalle analisi dell’OCSE – non erano superiori alla media di quelle riconosciute ai lavoratori degli Stati membri di tale organizzazione. Segnala, peraltro, che la nuova disciplina rischia di esasperare i dualismi esistenti nel mondo del lavoro, differenziando significativamente la posizione dei dipendenti sulla base della data della loro assunzione. Conclusivamente, auspica che sia fatta chiarezza circa l’applicazione della disciplina ai rapporti di pubblico impiego, chiedendo al Governo di affrontare la questione quantomeno nell’ambito dell’attuazione della delega in materia di riforma della pubblica amministrazione.
Pur ritenendo positivo l’intento di un’estensione dei trattamenti dell’assicurazione sociale per l’impiego, previsti a legislazione vigente, reputa insufficiente l’intervento previsto dal decreto in esame, che fissa requisiti troppo stringenti ai fini dell’accesso alla NASpI. Dichiara, pertanto, di condividere molte delle valutazioni espresse nel corso delle audizioni informali svolte, che hanno sollecitato una sostanziale revisione dei contenuti del provvedimento. Esprime, in primo luogo, riserve sulle modalità di calcolo del periodo di fruizione della NASpI, che continuano a fare riferimento alle settimane lavorative, rilevando altresì che la nuova assicurazione non supera i limiti della mini-ASpI e rischia in molti casi di essere penalizzante rispetto alla disciplina vigente, specialmente per i lavoratori stagionali. Osserva, inoltre, che il contratto di ricollocazione, così come configurato, avrebbe un ruolo meramente accessorio nelle politiche di reinserimento lavorativo e si tradurrebbe, in sostanza, nella semplice erogazione di un voucher. Valuta, poi, in modo negativo la previsione di un tetto alla contribuzione figurativa per la NASpI e l’esclusione della contribuzione per l’ASDI e la DIS-COLL, osservando come si prefiguri un danno per le carriere contributive rilevanti ai fini della determinazione dei trattamenti pensionistici. Per quanto attiene, inoltre, alla misura dell’ASDI, ritiene che l’assunzione come parametro dell’importo dell’assegno sociale, pari a 447,61 euro, determini il riconoscimento di un trattamento che non garantisce il superamento della soglia di povertà relativa, pari nel 2014 a 7.200 euro. A suo avviso, occorrerebbe quantomeno assumere come riferimento tale ultimo valore, ricordando come il proprio gruppo sostenga con forza l’introduzione di un ammortizzatore sociale di carattere universale, il reddito di cittadinanza. Richiama, in proposito, il contenuto della proposta di legge n. 1148, attualmente in discussione al Senato, che reca anche le necessarie coperture finanziarie.