Nei giorni scorsi il Giornale di Brescia ha invitato politici e intellettuali a un confronto sul MES. A seguire, riporto il mio personale contributo, pubblicato nell’edizione di oggi:
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Raccolgo l’invito lanciato dal Giornale di Brescia per illustrare le ragioni del nostro scetticismo verso il MES.
Una premessa: è vero che la pandemia ha scatenato una crisi globale inedita, ma è proprio grazie ad essa se nel mondo cresce l’esigenza di rimettere al centro dell’azione politica la protezione sociale e la sostenibilità dei modelli di sviluppo: due obiettivi che richiedono un rinnovato protagonismo delle istituzioni pubbliche con programmi di investimento lungimiranti e massicci. L’Europa raggiungerà questo obiettivo solo abbandonando la competizione tra Stati e l’austerità del passato.
A questo scopo il MES appare subito uno strumento inadatto. E’ rivolto ai Paesi a rischio di dissesto finanziario e questo non è certo il caso dell’Italia. Peraltro saremmo il primo Stato a fare uso della speciale linea di credito “a condizioni rafforzate” e la nostra immagine verrebbe fortemente danneggiata di fronte ai mercati.
A dispetto delle rassicurazioni di Gentiloni e di Dombrovskis il MES resta legato a “rigorosa condizionalità”, cioè al rischio di misure rigide e severe prescrizioni che potranno scattare anche in un secondo momento. Lo prevedono trattati e regolamenti pienamente in vigore per i quali non è in corso alcuna revisione. In ogni caso si tratterebbe di un processo lungo, per nulla favorevole al bisogno di agire tempestivamente.
Le risorse del MES non sarebbero immediatamente disponibili. L’Europa dovrebbe recuperarle sui mercati creando nuovo debito e anche per questo l’erogazione del prestito avverrebbe a tranche mensili.
Ancora, gran parte dei 36 miliardi di euro del MEF arriverebbero nel 2021. Ha senso ricorrere a uno strumento tanto rischioso visto che nel nuovo anno sarà attivo il Recovery Fund da almeno almeno 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto? Abbiamo sostenuto questa opzione dal principio e Giuseppe Conte, partito da solo con fermezza e determinazione, è riuscito a diventare capofila di nove Paesi favorevoli alla nostra idea di Recovery Fund, continuando le trattative fino ad oggi anche con le nazioni più ostiche.
A fine mese il Parlamento conoscerà gli esiti di queste difficili negoziazioni e tutti gli strumenti a disposizione per il rilancio. Allore potremo decidere cosa fare, senza approcci ideologici e consapevoli di ciò che conviene al nostro Paese.
Non dimentichiamo che il MES varrebbe solo per alcune voci di spesa sanitaria. Nell’immediato sarebbero risorse preziose, ma resta il problema delle condizioni. Inoltre non servirebbero al potenziamento strutturale della sanità italiana, per la quale stiamo già lavorando: senza contare le ultime due leggi di bilancio, i Decreti Cura Italia e Rilancio hanno già impegnato 6,8 miliardi di euro per aumentare i posti letto, per assumere migliaia di nuovi medici, tecnici e infermieri, per stabilizzare gli operatori precari e molto altro.
Ora ci aspettiamo che l’Europa – che sta già cambiando “da dentro” anche grazie al nostro sforzo – sostenga sempre più concretamente questo progetto.