Cos’è la disoccupazione tecnologica?
John Maynard Keynes ne parlava già nel 1930 in questi termini:
Siamo affetti da una nuova malattia di cui alcuni lettori non hanno forse ancora letto il nome, ma di cui sentiranno molto parlare negli anni a venire, e cioè la disoccupazione tecnologica. Ciò significa una disoccupazione causata dalla scoperta di strumenti atti a economizzare l’uso di manodopera e dalla contemporanea incapacità di tenerne il passo trovando altri utilizzi per la manodopera in esubero.
Quasi tre anni fa ho depositato alla Camera dei Deputati una risoluzione parlamentare (7-00449) allo scopo di approfondire questo tema, che a quel tempo era quasi totalmente ignorato dal legislatore. Il “mantra” dei politici è sempre stato che l’innovazione tecnologica avrebbe creato nuovi posti di lavoro rispetto a quelli che avrebbe cancellato e che le macchine e i software non sono ancora in grado di sostituire l’uomo, ma di affiancarlo.
Evidentemente non intimoriscono gli studi della McKinsey & Company, che stima il 45% di tutte le attività lavorative attualmente attive come potenzialmente automatizzabili attraverso tecnologie già esistenti.
Oppure la previsione del World Economic Forum, secondo la quale a breve, nelle 15 più grandi economie del mondo, 5 milioni di persone rischiano di essere sostituite da automi governati da algoritmi.
Personalmente faccio parte di quella categoria di persone – definite impropriamente pessimiste – convinte che l’innovazione tecnologica dei nostri tempi eliminerà milioni di posti di lavoro nei prossimi anni. Questo per merito dei progressi della robotica, della digitalizzazione e della cosiddetta intelligenza artificiale, che grazie alla complessità di algoritmi sempre più sofisticati è in grado di sostituire funzioni prettamente umane.
Una disgrazia? Direi proprio di no. Davanti a noi abbiamo la grandissima opportunità di affrancare l’uomo dal lavoro affinché siano le macchine a fare i lavori pesanti e ripetitivi. Affinché la collettività ne possa beneficiare per via del continuo incremento della produttività che permette la creazione di più beni e servizi con più efficienza, meno ore di lavoro umano, dunque più profitti e maggior benessere se ben redistribuito.
E’ sufficiente che la politica e chi detiene queste tecnologie comprenda che è la classe media a sostenere la spesa al consumo (negli States è al 70%) e per questo bisogna assolutamente fermarne l’impoverimento. Del resto è sempre lo stesso Keynes a insegnarci che sono i “moltiplicatori keynesiani” la medicina di un sistema economico al collasso, visto e considerato che i robot non vanno al supermercato a fare la spesa, o dal parrucchiere per la messa in piega.
Mercoledì in Commissione Lavoro, dopo oltre 2 anni di audizioni e discussioni, si metteranno in votazione le proposte del M5S che vogliono riportare al centro il ruolo dell’uomo in questa fase di cambiamento epocale nella nostra società.
Sono proprio curioso di vedere se anche in questo caso la politica volterà le spalle a una grandiosa opportunità di reale progresso.
Finalmente la risoluzione Cominardi arriva in discussione in Commissione Lavoro.
Il testo della risoluzione Cominardi (7-00449) presentata nel 2014 in Commissione Lavoro.
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