Lunedì 11 luglio poteva essere un giorno importante. In aula è andato in discussione il cosiddetto Ddl Povertà (un disegno di legge delega per fronteggiare la crescente e preoccupante indigenza degli italiani).
Se, per fare un esempio, dal 2008 a oggi il numero di bambini che vive sotto la soglia di povertà è triplicato, e se dalla sua introduzione il Jobs Act non ha fatto altro che frammentare e precarizzare ulteriormente il mondo del lavoro (generando finta occupazione e un boom di emissioni di voucher), il Movimento 5 Stelle si aspettava dal Governo molto, molto di più rispetto ai 600 milioni stanziati nel 2016 e al miliardo di euro stanziato per il 2017. La proposta del M5S avrebbe previsto un impegno di 17 miliardi di euro attentamente recuperati da più voci di spesa (e di spreco). Soprattutto, sarebbe stato un intervento all’altezza della profonda trasformazione economica e sociale in atto. Una fase in cui le disparità aumentano mentre la classe media va scomparendo.
Il M5S difende il principio del lavoro come strumento per l’inclusione sociale, ma chiede un reddito di cittadinanza che difenda la dignità delle persone e che sia da motore per la stessa economia. Ha chiesto, per esempio, un massiccio intervento (1,5 miliardi circa) nei centri per l’impiego, a cui in Italia fanno riferimento un decimo dei lavoratori rispetto alla Germania, ma anche la riduzione delle aliquote Irpef e la revisione dei parametri Isee.
E perché nel Ddl Povertà non si tiene in considerazione la situazione dei pensionati, che vede ben 7,2 milioni di persone vivere con meno di 500 euro al mese?!
Ricordando tutti questi fronti aperti, ho chiesto insomma di non seguire unicamente le politiche di austerity che l’Europa ci impone, ma anche le richieste con cui la stessa Europa ci chiede di intervenire seriamente in ambito sociale. La risposta del Governo la potete immaginare.
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