Avete figli che frequentano la scuola? Bene, probabilmente conoscerete alcune lavoratrici che quotidianamente preparano i pasti della mensa, oppure altre che puliscono le aule, le palestre, i bagni.
Forse non ve lo hanno mai detto, ma loro (sono prevalentemente di donne) appartengono a una delle categorie professionali più penalizzate d’Italia. O forse semplicemente non lo avete mai saputo perché spesso le loro proteste vanno in scena in estate.
Molte di loro sono assunte con un contratto che viene chiamato “part-time ciclico verticale”. A differenza dei lavoratori che in caso di disoccupazione involontaria hanno diritto alla NASPI e a differenza di chi può contare sulla cassa integrazione guadagni in caso di riduzione della produzione, le lavoratrici della scuola sono costrette ad affrontare i mesi di chiusura estiva senza alcuno strumento di protezione. Questo nonostante i loro contratti siano, in prevalenza, a tempo indeterminato. Anche i lavoratori stagionali percepiscono un contributo economico, seppure ridotto dal Jobs Act. Chi tiene in piedi la scuola dei vostri figli, invece, nulla!
C’è di più. Il fatto di lavorare per 40-44 settimane all’anno (per lo più con contratti part-time che non superano le 15 ore settimanali) comporta per loro una grave penalizzazione sul piano contributivo. Dopo 25 anni un lavoratore con contratto a tempo indeterminato “a sospensione” rischia di trovarsi infatti con un’anzianità contributiva di soli 20 anni.
Secondo voi è giusto tutto questo? Ed è giusto che da vent’anni, e cioè dal 1997, la Direttiva Europea 97/81/CE contro la discriminazione tra lavoratori full-time e part-time sia ancora disattesa?
Non si tratta di un caso isolato. Per darvi un’idea della diffusione del problema, sappiate che in Lombardia queste lavoratrici sono almeno 1.500, circa 180 quelle residenti in Provincia di Brescia. Si tratta di un numero fortemente sottostimato perché riferito solo alle persone che in questi mesi, supportate dal sindacato, hanno presentato o stanno presentando raffiche di ricorsi amministrativi e battaglie con l’INPS per il recupero dei periodi di lavoro non conteggiati. Ricorsi che l’INPS perde sistematicamente vedendosi costretto a compensare anche le spese legali.
Per arrivare al riconoscimento di un diritto che nessun Governo considera da vent’anni e per evitare l’ennesimo spreco di risorse dell’ente di previdenza, il 27 settembre ho presentato un’interrogazione al Ministero del Lavoro.
Dopo tutto questo tempo, credo sia giunta l’ora di dire basta a questo gioco perverso sulle spalle dei cittadini e di chi lavora.